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martedì 25 gennaio 2011

La Cultura Fa Paura?





I miei libri per un periodo sono stati presenti nelle librerie: non lo so quante copie ne siano andate vendute, me ne sono dimenticato; non molte, tuttavia. Provo ad analizzare le ragioni di tale “fenomeno”. Primo, quello che ho scritto non piace… Non può essere. Non perché io escluda questa possibilità, al contrario, bensì perché per poter dire che un libro non è piaciuto è necessario averlo letto e quindi acquistato. 


Oppure esserselo fatto prestare da qualcun altro che giocoforza da qualche parte deve averlo preso. Dunque la prima possibilità è da escludersi, in quanto se i miei libri fossero realmente giudicati delle schifezze tanto da indurre le persone a non acquistarli, questo inevitabilmente significherebbe avere avuto migliaia e migliaia di lettori i quali tutti mi considerano un pessimo scrittore, ma che per poterlo affermare mi avrebbero di conseguenza fatto vendere migliaia e migliaia di copie e uno scrittore che vende migliaia e migliaia di copie dei propri libri diventa automaticamente un grande scrittore, anche se scrive cretinate. 


Quindi, se i vostri libri non vendono un piffero non permettete che vi si dica che il problema è che ciò che avete scritto non è all’altezza, è brutto, è troppo personale o troppo poetico o troppo questo o troppo quello: non vende semplicemente perché nessuno sa che è in vendita, e la colpa di questo è dei soliti. Chi sono i soliti? Ma lo abbiamo capito tutti, chi sono. Secondo: chi entra in libreria con la voglia di leggere ma con le idee non molto chiare su che cosa vorrebbe leggere, può affidarsi a: un titolo accattivante (tra tutti me ne viene in mente uno, di qualche anno fa, che vendette tantissimo: “Gli uomini sono come il cioccolato”, o qualcosa del genere. Io non l’ho acquistato, e non l’ho letto), una copertina attraente (dipinti ad olio del passato, richiami comunque alla cultura cosiddetta “alta”, oppure immagini più furbine, spesso poco o niente legate al contenuto del volume che vanno a rappresentare). 


Il potenziale lettore prende in mano il libro, lo apre, lo pesa, lo gira e rigira, verifica il numero di pagine, legge la quarta di copertina dove spesso viene riportato un frammento attraente ma non rivelatore della storia narrata allo scopo di creare curiosità e poi, se già non lo conosce, passa in terza di copertina a vedere chi diavolo sia l’autore o l’autrice. Sempre più spesso le librerie consentono la lettura parziale, o addirittura totale, dei libri posti in vendita per cui se qualcuno la domenica ad esempio non avesse nulla da fare, visto che le librerie, almeno quelle dei centri urbani, la domenica sono aperte, può leggersi un libro gratuitamente. 


Oppure affidarsi al libraio, chiedergli un consiglio. Io non ho mai chiesto consigli del genere, ma non per sfiducia nei librai o perché abbia avuto sempre le idee chiare su cosa leggere (piccolo inciso: pare non sia sufficiente una vita umana media per poter leggere le sole opere fondamentali della letteratura mondiale, per cui il problema non dovrebbe sussistere, ma conosco persone, lettori accaniti, che divorano libri a decine e decine l’anno e non sanno chi sia Saul Bellow, ad esempio) bensì perché chiedere informazioni su un libro equivale a precludersi la sorpresa, o anche la delusione, che il più misterioso degli oggetti riserva. 


Funziona come con le persone, secondo me: se ognuno di noi si portasse addosso un libretto d’istruzioni consultabile, oppure avesse accanto un esperto interpellando il quale chiunque potrebbe avere qualsiasi informazione sulla nostra personalità e sul nostro carattere, beh, credo che avremmo i giorni contati, almeno per quanto riguarda i rapporti per come li intendiamo e siamo abituati a viverli. 


In questo ultimo caso il libraio consiglia certamente, a seconda dei propri gusti e conoscenze e di ciò che gli viene richiesto, qualcosa che accontenti il cliente ma essendo alla fine dei conti un venditore come qualsiasi altro, cercherà di promuovere quel libro il quale, per ragioni proprie legate alla distribuzione, ad accordi con le case editrici e comunque ad equilibri che non può e non vuole ledere, gli conviene consigliare. 


Ecco secondo me la ragione per cui i “libriccini” di autori anonimi pubblicati da ignote case editrici rimangono sugli scaffali, posto che mai vi siano stati posizionati, delle librerie e lo scrittore di belle speranze che crede di avere superato la parte più difficile del percorso verso il proprio pubblico di lettori, in realtà sta né più né meno vivendo di illusioni, perdendo il proprio tempo. Terzo: in libreria non ci vanno tuttiNon che l’accesso sia riservato a qualcuno in particolare, ma da sempre quei luoghi è come se avessero, accanto all’insegna posta sopra l’entrata con il nome della libreria stessa, la virtuale ed imperiosa dicitura “questo è un luogo sacro, si prega di spegnere i cellulari prima di entrare”. 


Sappiamo benissimo che così non è e che oggigiorno non è più un problema se anche il cellulare suona in chiesa durante la messa: la nostra conquista più grande di esseri umani del tempo presente è quella di essere riusciti ad imporre l’un l’altra la propria cafonaggine gabbata per libertà; malgrado ciò alla libreria è difficile non associare la scuola, ossia quel luogo nel quale ci hanno fatti andare volenti o nolenti per un minimo di otto anni, in un periodo della nostra vita nel quale sapere chi fosse e che cazzo avesse combinato un certo Napoleone oppure perdere il sonno e la stima di sé nel tentativo di risolvere un’astrusaggine aritmetica, probabilmente non era il centro dei desideri per molti di noi. 


Per le ragioni sopra elencate e fuor di dubbio per altre ancora che in questo momento mi sfuggono, lascio le librerie agli scrittori importanti, quelli che tutti leggono e di cui tutti parlano e proverò a porre in vendita i miei libri in quei posti dove le persone possono entrare senza sentirsi ignoranti o rivivere traumi del passato, ad esempio nelle osterie. 


Prosit!


Non esiste una strada sbagliata. Ogni strada ti porterà a una destinazione.


A presto!


Mario Pullini

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2 commenti:

laura ha detto...

La pubblicità, la visibilità, il fatto che se ne parli tanto, che gli autori siano ospiti in certe trasmissioni, insomma "creare il caso letterario". Molto dipende anche dagli editori, secondo me, (i soliti quattro o cinque che poi puntualmente ogni anno si spartiscono i cosiddetti premi importanti) che non so in base a quali criteri ma decidono che un certo libro deve funzionare per forza e di solito ci riescono mettendo su una campagna a tappeto. Noi lettori lo compriamo perchè ne sentiamo parlare e nelle librerie (anche qui, le solite, e se ci fai caso portano anche gli stessi nomi di certe case editrici) sono piazzati in modo tale da non poter passare in nessun caso inosservati. Poi magari leggiamo e non li troviamo affatto all'altezza e delle aspettative e di tutta la macchina pubblicitaria impiegata (a me capita 8 volte su 10 e infatti ho deciso di smettere di comprare i cd casi editoriali dell'anno)ma ormai è fatta: quelli ce li dobbiamo tenere sugli scaffali della libreria e di altri, forse migliori e più meritevoli non conosceremo mai l'esistenza. Molti editori sono prontissimi a farsi pagare per pubblicare, ma poi non spendono un centesimo per promuovere. Dicono, è vero, di non avere le risorse necessarie, ma forse farebbero meglio a dirlo prima di incassare l'assegno di tremila euro circa che, per quanto ne so, è quanto si chiede ad un esordiente per pubblicare. E poi, rifletto, ma un editore, per quanto piccolo, possibile non abbia nessun contatto con librerie (magari anche piccole) o critici o altro con cui concordare almeno una piccola campagna pubblicitaria per far conoscere il libro e il suo autore? A me è capitato di assistere, nella più nota libreria della mia città, ad una scena assurda: un giovane autore che implorava un commesso di piazzare da qualche parte il suo libro dicendo che era stato l'editore stesso a consigliarlo in tal senso. Ma oltre a fare gli scrittori che si fa? I venditori porta a porta?

Un Mario Nuvoloso ha detto...

Ben detto Sara! Sai, oramai dopo anni e anni di illusioni, idealismo ma non unicamene in ambito creativo letterario, sono giunto all'amara conclusione che non solo non c'è spazio per chi vuole proporre qualcosa bensì non c'è proprio la volontà di creare spazio! Sulle prime, ancora vittima dell'ingenuità che mi ha sempre contraddistinto ahimé, pensavo fosse per mero disinteresse da parte di chi è deputato (editori, intellettuali, giornalisti solo per citare tre categorie) ad "accorgersi" del nuovo; in seguito non ho potuto che ammettere che, al contrario, la "macchina" non è affatto distratta anzi, è attentissima a che non filtri niente e nessuno di ciò che non voglia lei. Ergo, dietro al caso letterario della ragazzetta che si dà cento spazzolate sulla testa prima di andarsene a letto, o dell'attore che dichiara che non avrebbe nemmeno voluto fare l'attore ma ci si è trovato, poverino, e adesso gli tocca fare un film dietro l'altro, c'è la macchina. Da chi è mossa tale macchina è difficile dire: certo, si tratta di persone, ma capire quali siano le dinamiche, se non la solita politica, favori sessuali, eccetera eccetera eccetera è affare complicato. Ti ringrazio per avermi scritto. A breve i miei libri saranno scaricabili gratuitamente dal mio blog: se non li posso vendere, almeno li regalo! Baci
Mario

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