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martedì 30 novembre 2010

Le Parole Non Mi Fanno Più Nessun Effetto. Neppure La Parola Di Dio



Buongiorno, Beppe. Anzitutto mi presento: Mario Pullini, classe 1966, nato, cresciuto e tuttora residente a Vittorio Veneto, città di circa trentamila abitanti, sede vescovile, nata dalla fusione tra i comuni di Serravalle e Ceneda, centri di origine romanica, il primo, longobarda il secondo. Non dirò muschi e licheni al nord, altrimenti diventa un compito di quarta elementare con la maestra Adele Poli, che saluto.


Diploma magistrale presso il collegio d'ordine delle Suore Giuseppine (una classe di venticinque studenti, io e Otello eravamo i soli due maschi, non aggiungo altro). Iscrizione presso Scienze Politiche, girata a Pedagogia una volta passato Microeconomia: la matematica non sarà mai il mio mestiere, cantava il poeta! Ma la matematica, o meglio l'economia, era acquattata dietro l'angolo: accantonati Herbart, Froebel e i giardini d'infanzia, un tranquillo e insospettabile lunedì dell'ormai lontano 1994 mi si aprirono i cancelli dell'eden bancario.


Fatica, Beppe, tanta, per decostruire la personalità mia di essere umano normale, e diventare un sorridente, rassicurante, pettinato cravattone. L'infanzia e l'adolescenza le ho trascorse tra la vita lungo il fiume insieme a Huckelberry Finn, il calciobalilla e il flipper al bar dalla Maria (Hot Mary Bar in seguito) e le colonie estive nella casa alpina Palughetto con don Augusto: sporca matricola dodicenne, metri uno e cinquantatre, 41 di piede e timidezza patogena, divenuto nel susseguirsi delle estati uno splendido coordinatore.


Un fratello maggiore ingegnere, una sorella minore avvocato, un cane di nome Wally, gatta Pasqualina, babbo e mamma sull'orlo della vecchiaia. Ah, non sono sposato e vivo ancora con loro. Ecco Beppe, questo sono io. La mia è un'educazione borghese e cattolica, come è stato per la maggioranza credo di noi ragazzi nati e cresciuti in un periodo fantastico dentro il quale c'erano riferimenti esistenziali, politici e religiosi forti e chiari. Tuttavia, nonostante quelle che io reputavo le colonne su cui poggiare la mia esistenza, un sentore, un languore, un malessere prese a farsi largo in me, portandosi dietro un senso di vuoto, desertificazione, cinismo, rabbia.


Lo accolsi dando ad esso non troppa importanza, valutandolo un passaggio non troppo piacevole della mia vita, ma "lui" stava organizzandosi per mettere le basi in me. In questi ultimi quindici anni ho affrontato il problema rivolgendomi a sacerdoti, psicoterapeuti, parlandone con amici, ma nessuno è riuscito ad aiutarmi ad arrestare il processo di ateizzazione che, malgrado gli sforzi per contrastarlo, mi stava pervadendo. Oltre ad avermi portato via la fede in Dio, mi ha profondamente minato la fiducia nelle istituzioni, nella Legge, nella natura buona ed onesta degli esseri umani.


Non vorrei tu mi prendessi per un idiota, Beppe: certo mi sono accorto in che mondo vivo, e da tempo ho smesso di credere trattarsi di un mondo ideale, creato appositamente da Dio per la nostra felicità. Malgrado ciò, una parte di me continua a lottare, a farsi sentire, a chiedere: perché hai preso questa strada che ti porta all'infelicità? Sono diventato un volontario, occupo buona parte del mio tempo libero aiutando gli altri, persone e animali in difficoltà.


Questo mi ha portato a relazionarmi con persone delle più svariate ideologie ed orientamenti politici, religiosi, filosofici. Certo si è trattato di un accrescimento, per me; d'altra parte, la sofferenza che vivo stando vicino a chi sta male, a sua volta ha contribuito ad allontanarmi dalla fede in Dio.


E mi chiedo, e chiedo agli altri: che senso ha proteggersi presso un ideale Padre Supremo quando la realtà parla chiaro, ed è una realtà spaventosamente cinica e crudele, terribilmente casuale e violenta nel manifestarsi? Non sarebbe utile per tutti noi liberarsi dalle credenze e metterci tutti quanti finalmente in gioco, aiutandoci davvero l'un l'altro? Non lo so, davvero non lo so. Quello che in questi anni di solitudine ho davvero chiarificato è che, con le parole, non si fa granché: e ho smesso di credervi.


Già, non credo nemmeno più nelle parole. Perché quando hai davanti a te un uomo che non ha davvero più niente al mondo se non te che lo aiuti, o un cane che è stato massacrato di botte ed abbandonato in un cassonetto di rifiuti, allora le parole non ti fanno più nessun effetto. Neppure la parola di Dio.


Scusami. Ho sempre avuto una grande stima di te, Beppe Severgnini, ti seguo nei tuoi editoriali e ho letto i tuoi libri. Mi fido di te. Mi hai dato sempre l'idea di un uomo che sia tale e ti sono grato per avermi ascoltato. Il tuo parere mi sarebbe prezioso. Grazie. Ciao


Mario Pullini



Riporto per intero anche la risposta di Beppe Severgnini:


Caro Mario,
in via eccezionale pubblico tutto, senza tagli, andando ben oltre le misure consentite. Devo dire che sai scrivere di te stesso (è, per tutti, l'argomento più difficile): scrivi molto meglio di quasi tutti gli aspiranti romanzieri in cui m'imbatto.

Veniamo a noi. Innanzitutto, grazie della stima (eccessiva, temo). Il mio parere? Per essere serio, dovrebbe essere lungo, articolato e preceduto da molte domande e da un incontro: perché è della tua vita che stiamo parlando.

Posso solo dire questo (è una considerazione, non un giudizio): ci sono motivi per non credere in Dio e motivi per detestare gli uomini e le cose che fanno. Ci sono altri motivi che spingono molti di noi alla fede, e alla fiducia negli altri: gli esseri umani fanno anche cose stupende, e lo sai.

Bisogna scegliere come passare il nostro tempo sulla terra. Occorre prendere dei rischi, e accettare la scommessa. Molla gli analisti e leggiti Pascal: lui aveva capito tutto.


L'acquerello "Tramonto" è di fabietto



Non esiste una strada sbagliata. Ogni strada ti porterà a una destinazione.


A presto!


Mario Pullini




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